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Ragazzina nel mirino dei bulli14 maggio 2014 San Benedetto Po. «Abbiamo vissuto sei mesi da incubo. Non potevamo perdere mai di vista nostra figlia. Non sembrava più lei, piegata dai bulli». A 14 anni soggiogata, spaventata e stremata dalle angherie di quelli che considerava i suoi amici, il “gruppo” che per un adolescente è tutto. Il caso degli episodi di bullismo tra gli studenti della scuola media di San Benedetto è scoppiato con tutta la sua gravità lunedì sera, durante l’incontro pubblico in sala civica a cui hanno partecipato trecento persone. E ora che la ragazzina è uscita dall’incubo, dai messaggi deliranti con istigazioni al suicidio, dai post di insulti, e perfino dagli schiaffoni in classe, la preoccupazione dei genitori è per le altre. «Mia figlia ha cambiato compagnia, sta meglio, ma quei ragazzi stanno sottoponendo altre alle stesse angherie - racconta la madre, ai cui appelli disperati «nessuno ha dato ascolto in questi mesi». In una delle foto che ha trovato sul cellulare della figlia c’è una ragazzina di San Benedetto stesa sulle rotaie delle ferrovie. «Se una si mette in posa per questo significa che c’è un problema grave. Ed è assurdo che scuola e Comune fino ad oggi abbiamo minimizzato, voltato la faccia dall’altra parte e ci abbiano addirittura accusato di smanie di protagonismo, di fare dell’allarmismo». Come è accaduto, racconta, lunedì sera in sala civica. Gli unici a prendere sul serio la loro angoscia sono stati lo psicoterapeuta, che oltre alla figlia ha messo in terapia anche lei e il marito, entrambi laureati in psicologia, per aiutarli a sostenerla, e il maresciallo dei carabinieri di San Benedetto. «Quando, convocato dal dirigente scolastico ad un incontro con noi, ha ascoltato quanto stava accadendo, è rimasto sconcertato». Lei e il marito, però, non hanno voluto sporgere denuncia: «Sia perché crediamo che questo disagio vada curato e che questi ragazzini vadano rieducati, non accusati e processati, sia perché speravamo nel buonsenso dei loro genitori». Che, invece, li hanno protetti senza intervenire, afferma la donna. «Quando ho parlato con un’altra mamma per chiederle di farli smettere, lei per tutta risposta li ha avvisati di togliere tutti i 350 post di insulti a mia figlia su Facebook per cancellare la prove». Finito il periodo cyber, sono continuate però le angherie in classe. «Era torturata, ed era diventata cattiva con noi. Una mattina in auto dallo specchietto retrovisore ho visto che stringeva il pugno. Mi sono fermata e l’ho costretta ad aprirlo: aveva una lametta. Ho guardato il cellulare e c’erano foto orribili mandate sempre da loro: immagini di morte e di sangue. Mi sono sentita morire».
Fonte: gazzettadimantova.gelocal.it
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